Nel presente articolo vengono sinteticamente analizzate le motivazioni statistiche che dovrebbero indurre i risparmiatori a privilegiare l'una o l'altra delle due tipologie di fondi
Chi investe nei mercati azionari può farlo in diversi modi, qualsiasi modalità comunque rientra in una delle seguenti due categorie: seguendo i mercati attivamente o passivamente.
L’ipotesi sottostante al primo metodo è che sia possibile far meglio del mercato perché i movimenti sottostanti (magari non tutti, ma almeno la maggior parte) possono essere previsti.
Nel secondo caso, invece, questa fiducia non esiste e si preferisce assecondare i movimenti del mercato rimanendo comunque investiti, indipendentemente dalle situazioni contingenti. In questo secondo caso i costi sono solamente quelli per l’acquisto dei titoli e per il loro mantenimento nel portafoglio (circa lo 0,20% annuo nel caso di ETF).
Nel primo caso dobbiamo considerare, invece, tutti i costi necessari alla compravendita dei titoli e al loro mantenimento in portafoglio oppure, nel caso di fondi del risparmio gestito, le commissioni di gestione e, spesso, quelle di performance (tutte riassunte nel TER, pari mediamente al 2% annuo – fonte: Banca d’Italia).
Nella seguente sintetica analisi vediamo se ci sia una qualche motivazione, strettamente finanziaria, che potrebbe indurci a scegliere gli strumenti più costosi (i fondi) rispetto a quelli meno onerosi (gli ETF).
Vediamolo con un esempio. Supponiamo che in un mercato che rende il 10% vi siano solo due operatori, entrambi attivi. Se il primo ha dato un rendimento dell’11%, il secondo non può che aver reso il 9%, perché mediamente 10% deve risultare. Se di operatori attivi ve ne fossero tre e il primo ha reso ancora l’11%, ci potremmo trovare di fronte a diverse possibilità: il secondo ha pure lui reso l’11% e il terzo, quindi, l’8%; oppure uno il 10% e l’altro il 9%. Le possibilità sono infinite, ma tutte le possibili soluzioni devono dare come media 10%, essendo quello il rendimento del mercato.
Il seguente grafico di probabilità cumulata riassume la situazione per gli investitori:
Cioè, come evidenziato dalla freccia rossa, gli investitori hanno il 50% di probabilità di ottenere un rendimento superiore alla resa del mercato e altrettanto di ottenere meno.
Se inseriamo i costi il corrispondente grafico che otteniamo è il seguente:
In questo caso la probabilità di ottenere un risultato inferiore a quello del mercato diventa pari al 63% ed è solamente del 37% quella di fare meglio del mercato (cioè, circa una probabilità su tre di individuare il fondo ottimale).
Più alti sono i costi, maggiore è la probabilità di ottenere rendimenti pessimi.
Questo nell’ipotesi che gli strumenti considerati siano efficienti.
Esistono, invece, analisi che dimostrano che nel passato solitamente le cose sono andate anche peggio: “negli ultimi 10 anni ben l’87% dei fondi azionari europei ha reso meno del mercato, spesso di parecchio, e anche le altre tipologie di fondi hanno fatto registrare risultati analoghi: banche e gestori non riescono quasi mai a generare valore per l’investitore e a meritarsi così le commissioni che gli vengono pagate.”
Non solo, ma quasi mai vi è costanza di rendimento: i fondi che un anno fanno meglio del mercato, spesso l’anno successivo si trovano dall’altra parte della classifica.
Con gli strumenti passivi si ha, invece, sempre la certezza di ottenere il rendimento del mercato al netto delle spese. Nell’esempio considerato e con i costi degli ETF avremo sempre la certezza di ottenere il 9,80%.
Risultato? Se volete guadagnare di più, ridurre i rischi di gestione e smettere di pagare commissioni inutili sostituite i fondi comuni/GPF con gli ETF. Meglio farlo tardi che mai.
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