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Ribellatevi! Alle angherie da Mifid, trasparenza costi, Kid e altro ancora



Articolo di Lorenzo Raffo apparso su LombardReport.com che condividiamo integralmente.


Non pochi intermediari hanno travisato una normativa che sulla carta avrebbe dovuto difendere il piccolo e medio investitore e che invece lo penalizza. In certi casi è stata addirittura inapplicata. Perché gli organi di vigilanza non intervengono? Il punto su una situazione molto complessa.


Patrimoni e dintorni


Ha posto barriere alla libertà d’azione dei risparmiatori – per esempio con i Kid - e non li ha eruditi: il bilancio della direttiva sulla trasparenza dei mercati finanziari, meglio conosciuta come Mifid 2, introdotta nel gennaio 2018, è pessimo. L’obiettivo era condivisibile, anzi auspicabile: aumentare la tutela di chi investe, quando si rivolge a intermediari bancari e a consulenti abilitati, nonché migliorare la comprensibilità dei costi. Il risultato appare invece infausto, poiché chi l’ha applicata (quanti sul totale?) ne ha tradito gli scopi e chi l’ha ignorata non ha subito nessuna sanzione. Vediamo alcuni aspetti in merito, auspicando che anche i tanti abbonati e/o lettori domenicali di Lombard Report facciano sentire la propria voce.


Trasparenza sui costi relativi all’acquisto di strumenti – Ciascun intermediario dovrebbe fornire un documento sintetico con quanto sostenuto dal cliente riguardo a commissioni, costi di intermediazione e altri oneri - anche fiscali - per ogni singola operazione (attività definita “ex ante”). Ciò si dovrebbe esplicitare con informazioni in merito agli strumenti finanziari raccomandati o richiesti dal risparmiatore, insieme alla trasmissione della sollecitazione di investimento e, quindi, prima che venga effettuata la relativa operazione. Quanti lo fanno? Non pochi ma quasi sempre in maniera sibillina, costringendo i clienti a sottoscrivere contratti poco chiari che nessuno legge. Se lo scopo è la trasparenza perché non imporre un semplice attestato che riporti le singole voci e nient’altro? Ulteriore aspetto grottesco è quello degli intermediari - soprattutto grandi banche - che impongono la firma di documenti dei quali non si prevede poi la consegna all’investitore. Si proteggono così ma non informano.


Trasparenza sui costi relativi al servizio – Qui scatta il maggiore nocciolo del problema. Una delle novità Mifid ha riguardato l’obbligo per l’intermediazione di sottoporre ai clienti un prospetto sui costi sostenuti (attività definita “ex post”), quali commissioni di deposito, gestione, consulenza e altri oneri che gravano sull’investimento. Tale informativa deve essere consegnata con riferimento al rendiconto di fine periodo, inteso solitamente come annualità. Duplice l’obiettivo: rendere trasparenti le spese globali accollate ed esplicitarne l’impatto sui rendimenti effettivi a conclusione di ogni annata. Cosa è successo in realtà? Che la maggior parte degli intermediari ha adottato modalità proprie, quando l’ha fatto. In sintesi solo un gruppo, composto soprattutto dai maggiori istituti bancari, si è adeguato alla norma, in maniera però disallineata rispetto agli intenti iniziali, in altre parole facendo in modo che un eventuale confronto fra diversi operatori fosse impossibile. Per quanto riguarda il primo anno di applicazione – il 2018 – le sintesi sono state inviate dopo molti mesi (soprattutto nell’estate 2019, poco prima delle ferie!), evitando in prevalenza di affrontare analiticamente il tema costi, magari nemmeno citati con una specifica voce.


Una ricerca condotta sul tema dalla School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con Moneyfarm, ha dimostrato che “analizzando una classifica finale espressa su scala 0-30, solo tre report hanno raggiunto un punteggio superiore a 26/30 e quattro non hanno neanche raggiunto la sufficienza. Complessivamente, il voto medio è stato pari a 21,4”. Questo per chi ha eseguito il compitino! Chi invece l’ha rinviato alle calende greche, confidando forse nella non conoscenza da parte dei clienti e nella tolleranza degli organi di controllo, il voto non l’ha ricevuto, sebbene di fatto sia uno zero. Una nostra piccola indagine fra investitori “retail” ha rivelato che pochi si ricordano di aver visto un documento in merito, in prevalenza abilmente occultato negli inutili e sempre in ritardo report su andamento del patrimonio detenuto e dei mercati.


Alcune voci in merito


1° investitore: “La banca mi invia ogni sei mesi una relazione tecnica sul portafoglio di titoli e fondi posseduti: in media si tratta di una trentina di pagine, che io non ho mai il tempo di leggere. Forse la sintesi dei costi è lì?”.


2° investitore: “Me l’hanno promesso il tanto decantato rendiconto costi ma io non l’ho mai ricevuto. Mi hanno detto che sono disponibili nel fornirmi a voce ogni dettaglio ma che un riepilogo analitico non l’hanno ancora inviato per problemi di natura informatica”.


3° investitore: “Detengo solo gestioni patrimoniali e la banca ha sostenuto che in tal caso il rendiconto non è necessario, perché al momento della sottoscrizione ho già avuto un documento di sintesi. Varrebbe solo quello”.


4° investitore: “L’ho ritirato ma non ho capito nulla. Pretenderei una scheda con sole tre voci: raffronto fra capitale detenuto al 1° gennaio e al 31 dicembre di ogni anno; rendimento finale; incidenza di tutti i costi. Il resto non mi interessa”.


5° investitore: “L’intermediario ha comunicato per scritto che il rendiconto è relativo unicamente al servizio prestato di ricezione e trasmissione ordini per le quali la normativa prevede la rappresentazione del solo costo del servizio e non degli strumenti finanziari correlati. Booh!”


6° investitore: “Il mio consulente mi ha spiegato che il documento sarebbe stato reperibile online. In effetti così è avvenuto e non posso lamentarmi della qualità delle informazioni fornite. C’è solo un problema: non è mai arrivata una comunicazione sulla sua disponibilità. Quanti ne sono stati ragguagliati?”.


1° consulente: “Alcuni intermediari hanno giocato con il fuoco, glissando sull’obbligo. Occorre però segnalare che gli investitori vivono e vogliono vivere nella più completa ignoranza in materia. A loro interessa solo non perdere in conto capitale e – se possibile – ottenere un rendimento positivo. Le normative le lasciano a noi professionisti del settore”.


2° consulente: “Io sono un fee only e ho deciso di adottare una mia modalità di rimuneratività da parte dei clienti: mi pagano una percentuale sui profitti ottenuti ogni anno, rapportata a diversi livelli di rischio. Se perdono non incasso nulla. I miei colleghi mi hanno criticato duramente per questa scelta ma il 2019 si è chiuso per me con una marginalità nettamente superiore, con un 28% di clienti in più e con una loro soddisfazione espressa in vari modi. Così facendo credo di aver applicato la Mifid 2 andando all’origine delle sue motivazioni”


3° consulente: ”Perché nessuno si occupa dei costi occulti? Il vero tradimento della Mifid riguarda quest’aspetto”.


In sintesi: un caos! Ciascuno ha operato come meglio riteneva in assenza di linee guida chiare e univoche. Di chi la colpa? Senz’altro del regolatore, che doveva decretare uniformità e sinteticità della documentazione, e degli organi di vigilanza, disattenti nel verificare l’applicazione della Mifid, nata fra mille convegni organizzati dall’industria finanziaria, in cui si sosteneva di voler difendere gli interessi dei consumatori/investitori. Aah aah! Ora si parla di una Mifid 2 punto qualcosa, cioè di una sua evoluzione. Di recente Massimo Scolari, presidente di Ascofind, associazione che riunisce le società di consulenza finanziaria fee only, ha giustamente lamentato che “una semplificazione della normativa farebbe bene a tutti”. Questo nell’interesse non solo dei risparmiatori ma anche del mondo consulenziale. E ha aggiunto: “Le tentazioni di restaurazione non mancano di certo e le lobby si sono già messe in azione. Sarebbe grave se si facessero passi indietro rispetto agli indirizzi, anche coraggiosi, che le precedenti normative hanno fornito”. Un’ultima considerazione (nostra): non si dica che i reclami in merito Mifid sono risultati contenuti. Lo possono pensare coloro che operano nel mondo finanziario ma non certo i clienti, spesso del tutto disinformati o disinteressati dei propri diritti e comunque per nulla desiderosi di litigare con le controparti cui hanno affidato i sudati risparmi. Bisticciare per la Mifid 2? Non avrebbe proprio senso! Di qui a dire che non avendolo fatto siano realmente soddisfatti ce ne passa di strada.


Kid, si ride per non piangere!


Quasi peggio! Sui Kid, raccomandati dalla Mifid, ci sarebbe invece da litigare. I Key information document (documenti contenenti le informazioni tecniche), a supporto di tutti i prodotti di investimento proposti sui mercati regolamentati, introdotti sempre nel gennaio 2018, si stanno dimostrando un’imbarazzante bufala e un ostacolo all’operatività perfino degli investitori professionali nell’ambito “retail”. Segnaliamo alcune vistose pecche.


1°) Capita che non pochi intermediari dichiarino l’indisponibilità ad acquistare vari prodotti finanziari richiesti dal cliente (per esempio nell’ambito dei bond) per assenza di Kid, sebbene questi poi ci siano. Lo scopo? Rifilare altro, ben più remunerativo per lo stesso intermediario.


2°) I Kid sono di fatto uniformati, il che vuol dire che gli emittenti per esempio di Etf, li costruiscono con dei copia-incolla. Di qui frequenti errori e soprattutto carenze. Di prove se ne potrebbero fornire a bizzeffe. Ecco alcune delle più clamorose, prese un po’ a caso. Spesso per gli hedgiati sui cambi mancano precise informazioni in merito. Spesso non si spiega la correlazione fra valute: un Etf sull’azionario dei Paesi emergenti espresso in dollari a quali rischi di cambio espone realmente? I professionisti lo sanno ma i piccoli e medi investitori no. E proprio alla loro informazione sono destinati i Kid. Spesso capita di trovare disallineamenti fra i Ter (costi complessivi) annunciati e quelli esposti in altri documenti o anche sui siti degli emittenti. Spesso i profili di rischio sono discutibili. Spesso si fanno vaghi riferimenti all’utilizzo di derivati, lasciando all’emittente ampi margini di manovra. Spesso si utilizzano terminologie molto tecniche, non adeguate alla conoscenza media di chi investe. Spesso non sono aggiornati. Spesso, spesso…potremmo proseguire ma non vogliamo tediarvi. In sintesi: non servono allo scopo per cui sono stati introdotti.


3°) Per gli Etf quotati in mercati extra Ue i Kid non sono previsti, poiché si tratta di un obbligo europeo. Ne consegue che chi volesse acquistare un replicante a Wall Street non lo può fare, nemmeno utilizzando piattaforme Usa, siccome queste riconoscono il cliente europeo e lo inibiscono da tale operatività. Dato però che ci sono i prospetti (ricchi di ogni dettaglio tecnico) non si potrebbe fare a meno dei Kid? No. In altre parole: tu sei comunque un incompetente e devi solo acquistare quello che vuole l’industria finanziaria. Un Etf fra le decine di migliaia proposti in altri ambiti non puoi metterlo in portafoglio!


4°) Visto che siamo stupidi pretendiamo allora che proprio i prospetti presenti su Borsa Italiana siano tradotti nella nostra lingua. Perché sono solo in inglese?


5°) Stesso problema per le obbligazioni, con l’aggravante che spesso alcune loro strutture particolari non prevedono esplicazioni chiare, sebbene i titoli siano acquistabili dal retail. Se quest’ultimo va difeso da tutto e da tutti, gli si forniscano informazioni trasparenti nel caso i bond siano quotati sul regolamentato: per esempio su eventuali rimborsi anticipati (modalità, tempistiche e prezzi di restituzione), imponendo agli emittenti di fornire documenti semplici e sintetici. Un esempio di ottimo lavoro in merito si riferisce al prospetto di emissione del recente nuovo bond Alerion Green Tf 3,125% Dc25 Eur. In altri casi la trasparenza è invece un miraggio.


6°) Per non dire dei certificati: la mole di nuovi prodotti porta più volte a disallineamenti fra i documenti – fra cui i Kid - resi disponibili dagli stessi emittenti. Sul tema torneremo in futuro.


In sintesi: il regolatore ha imposto norme che l’industria ha applicato in maniera disordinata, non garantendo assolutamente quel ruolo di trasparenza e informazione voluto con l’istituzione dei Kid. Giusto che ci siano ma auspicabile che siano esatti, chiari, completi e facilmente disponibili. Altrimenti si rivelano solo una corda al collo di chi investe.


L’esempio del nuovo modello standard bancario


Dobbiamo terminare inevitabilmente tornando un po’ indietro. Non ci sono solo i costi delle attività di investimento a far pretendere maggiore informazione, come vuole il regolatore. A monte si evidenzia ancora – malgrado i tanti progressi compiuti – la trasparenza in tutti i rapporti bancari. Certamente esistono da tempo fogli informativi, migliorati di recente per un intervento della Banca d’Italia. Proprio da questo punto di vista ulteriori sforzi per una completezza dei costi sopportati non farebbero male. Anche perché ormai il sistema bancario ha aggiunto prestazioni di altro tipo (per esempio assicurative) non sempre bene esplicitate. L’organo di vigilanza ha imposto che da gennaio 2020 siano ogni volta descritte chiaramente le spese del conto corrente, che siano quantificati costi di tenuta conto e delle operazioni, che siano comunicati riepiloghi adatti, che siano spiegati a cosa si riferiscono gli oneri applicati e che si informi adeguatamente il cliente in sconfino. In particolare ciò comporta la necessità che il foglio informativo, spesso di difficile interpretazione, sia riscritto in maniera più chiara, distinguendo spese di scritturazione contabile da oneri fiscali. Al proposito si è giunti alla formulazione di un modello tipo, cui le banche dovranno attenersi. Questa valida iniziativa va presa a esempio pure nell’applicazione della Mifid, superando gli ostacoli e le riserve di chi non vuole trasparenza.

In sintesi: alle tante parole pronunciate negli ultimi anni e ai mille proclami di chiarezza si dia un seguito reale ma certamente un ruolo in merito spetta al cliente finale, per ora quasi del tutto disinteressato dal tema costi. Siccome nei prossimi anni la redditività dei patrimoni scenderà l’essere coscienti di quanto si paga diventerà decisivo. E nel farlo si scopriranno di certo magagne spiacevoli, da cui ribellarsi è più che un dovere. Anzi è un diritto.


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